Conferenza sui rischi di internet

4feb
Nel 2005 ebbi la fortuna di assistere ad un dibattito sul tema del diritto d’autore e la proprietà intellettuale in internet. Tra i relatori: Sergio Messina, musicista ed opinionista, e Marco Marandola, esperto di diritto d’autore e di licenze elettroniche, venuto a mancare giovanissimo (40) appena tre mesi più tardi . Doveva partecipare anche un rappresentante della SIAE, che però non si è fatto vedere.
Il dibattito mi piacque molto… dirò di più: fu quell’incontro ad indurmi a realizzare un blog ed un podcast tematici su kiasma.it, contribuendo a farmi approfondire la materia del diritto d’autore in internet – soprattutto con il ciclo di trasmissioni Fattore K(iasma), oltre a proporre (e propormi per) la realizzazione del podcast Alto Adige Cultura.
Non di diritto d’autore, ma di rischi in internet si parlerà venerdì prossimo al Centro Culturale Don Bosco di Bolzano. Il pretesto è la presentazione del libro Le reti nella Rete e vede presenti l’autore Michele Facci del volume, il sovrintendente regionale della Polizia di Stato Mauro Berti, responsabile tra le altre cose dell’ufficio indagini pedofilia e Aldo Gabbi, apprezzato dirigente scolastico trentino, componente del Comitato di valutazione per la qualità del sistema scolastico della scuola in lingua italiana dell’Alto Adige. Destinatari: soprattutto genitori, educatori, ma anche i ragazzi

Siae (sempre lei)

Benché io conosca molte persone che percepiscono regolarmente diritti d’autore, sono sempre stato diffidente nei confronti della Siae. La diffidenza si è acuita da quando ho scoperto altre forme di licenze che consentono l’utilizzo gratuito di opere in determinati contesti (penso p.es. alle licenze creative commons: alcuni diritti riservati contrapposti a tutti i diritti riservati del ©).

Ciò premesso, ci sono ambiti della produzione culturale – penso al fare radio, all’organizzazione di spettacoli dal vivo, ecc. – in cui non si può prescindere dal trovare un accordo con la SIAE, accordo che molto spesso viene visto come un male necessario per poter svolgere il proprio lavoro. Il fatto che la percezione sia questa è aumentato dalla poca trasparenza dei meccanismi di distribuzione del denaro raccolto, gran parte del quale viene assorbito da costi strutturali e amministrativi della stessa SIAE (ne parlavo qui in occasione del decreto Bondi sull’equo compenso: tassazione dei supporti cd-r, dvd-r, masterizzatori, memorie, telefonini ecc…).
Poi ci si è pure messa la SCF, il consorzio dei fonografici, che ha cominciato a fare cassa tramite lettere/fatture a diversi commercianti (ne parlavo qui), rei di avere ascoltato la radio all’interno del loro negozio – pur avendo da sempre pagato i diritti SIAE.
Il 28 luglio Repubblica.it riferisce del raggiungimentro dell’accordo tra Youtube e la Siae che consente di mantenere online i brani musicali tutelati se usati come colonna sonora di un video.  Non sono noti i dettagli dell’accordo, salvo la dichiarazione da parte della Siae che i costi non saranno a carico dell’utente finale di Youtube. Stupisce invece l’affermazione attribuita a Christophe Muller, responsabile delle partnership di YouTube per l’Europa: “l’accordo con la Siae aiuta gli artisti rappresentati a guadagnare e ai nuovi talenti musicali di emergere”. Non mi risulta che la Siae abbia mai avuto un ruolo nella divulgazione della musica. A me pare che Youtube abbia fatto come molti commercianti e operatori per gli esempi sopracitati: pago e mi tolgo il pensiero. La frase di Muller intanto è stata ripresa e commentata da diversi blogger: “un po’ come la mafia e il pizzo aiutano le attività commerciali emergenti in Sicilia… Mi sembra lo stesso ragionamento.”

A pi greco mezzi (reprise)

scf.jpg
Guido Scorza, è docente di diritto delle nuove tecnologie presso diverse Università, dal suo blog (GBLOG) porta avanti da anni una campagna di informazione sulle furbate legate alla fantomatica tutela del diritto d’autore. L’ultima in ordine di tempo è una sua analisi – pubblicata sul portale di informazione Punto Informatico – di come SCF, il consorzio dei fonografici, stia tentando di fare cassa tramite lettere/fatture ai commercianti, colpevoli di avere ascoltato la radio all’interno del loro negozio – pur avendo da sempre pagato i diritti SIAE. Scorza nella sua analisi mette in evidenza la scarsa trasparenza di tutta l’operazione e mette in guardia dal facile ragionamento del pago e mi tolgo il pensiero.

Clicca qui per leggere l’articolo di Scorza su Punto Informatico.

A pi greco mezzi

In materia di tutela del diritto d’autore in questi primi giorni del 2010 assistiamo ad alcuni segnali a dir poco preoccupanti. Purtroppo gli italiani sono abituati alle brutte notizie. Si impreca e le si registra in un qualche anfratto della mente sperando che qualcuno abbia la forza di combattere l’ennesima battaglia.
Il nuovo decreto firmato dal ministro per il beni culturali (Decreto Bondi) inasprisce il prelievo per compensare i mancati guadagni causati dalla pirateria, estendendo a tutte le unità di memorizzazione la tassa.
In soldoni significa che l’equo compenso per una confezione di 20 cdr ammonta a 5,87 €, per una chiavetta usb da 4 GB a 0,36, per un hard disk da 1 TB a 10 Euro, per un iPod da 160 GB a 16,10 Euro, per un telefonino multimediale 0,90 Euro, ecc. (notizia presa da qui, troverete una tabella con diversi equi compensi).

A metà gennaio la SIAE in un comunicato prende posizione sul decreto giustificando i balzelli. Una frase su tutte: “il compenso per copia privata non è una tassa. E’ invece, un compenso che va a soggetti privati, destinato a risarcire, sia pure in maniera parziale, i creatori delle opere dell’ingegno e gli altri aventi diritto dal danno provocato loro dal mancato acquisto dei supporti originali contenenti brani musicali, film, opere delle arti visive, ecc.”
Pressoché immediata la replica dell’associazione dei consumatori Altroconsumo,che rileva che l’estensione dell’equo comenso “a tutti i dispositivi elettronici dotati di memoria lo ha reso ancora più iniquo (specie dove il diritto alla copia sia già previsto e remunerato da licenze) e poco trasparente: la stessa redistribuzione delle somme provenienti dall’equo compenso, infatti, avviene sulla base di meccanismi poco accessibili e buona parte del denaro viene assorbito dai costi strutturali e amministrativi della stessa Siae.”

Il 9 febbraio Altroconsumo pubblica sul proprio sito un comunicato stampa in cui – tra le altre cose denuncia: “Con il decreto Bondi sull’equo compenso è stato esteso il prelievo da parte della SIAE di una quota di prezzo destinato a remunerare gli autori per la copia privata (prima previsto solo su CD, DVD vergini e masterizzatori) a tutti i dispositivi dotati di memoria, come telefoni cellulari, decoder, console di videogiochi. Secondo Altroconsumo si tratta di una tassa iniqua, in concreto aiuti di Stato alla SIAE e all’industria dell’audiovisivo, con abuso di posizione dominante. E un’interferenza illegittima con il funzionamento del mercato interno UE.” Si tratta di un estratto di un ricorso all’Unione Europea per il decreto sopra citato.

Che la situazione stia precipitando, lo si apprende dal blog dell’avvocato Guido Scorza, GBLOG (lo definirei un osservatorio delle furbate pubbliche in materia di diritto d’autore) che in un post al fulmicotone si scaglia contro otto sigle di enti beneficiari del decreto Bondi (AIDAC, ANEM, FEM, GCI , L’ASSOCIAZIONE, MAP, SNAC, UNEMIA), autrici di un comunicato stampa – a detta di Scorza – pubblicate sul sito della SIAE (non ne ho trovato traccia) che si scagliano – pur senza citarla – contro Altroconsumo. Ebbene Scorza risponde punto su punto al tentativo di legittimazione di una tassa iniqua, l’ammontare delle cui entrate non andrà agli autori, quanto ai beneficiari di uno degli ultimi monopoli rimasti in Italia. Scorza riprende grossomodo le posizioni di altroconsumo, cambia il tono.

Il decreto ed il dibattito che ne consegue ruota tutto intorno alla definizione di copia privata. Qualche anno fa intervistai a riguardo Sergio Messina, musicista ed opinionista, considerato uno dei padri del movimento no-copyright in Italia, con cui ho chiacchierato di copia personale privata, di reti P2P e di SIAE. Insomma, vi consiglio un po’ di fondamentali. Questa la mia intervista telefonica (realizzata in diretta telefonica per Radio Tandem) a Messina.

Da non dimenticare in questo contesto il convegno su copyright e copyleft organizzato dalla Ripartizione Cultura italiana (per cui lavoro) nel 2005, con interventi di Sergio Messina e Marco Marandola, allora considerato uno dei massimi esperti in materia di diritto d’autore in Italia, prematuramente scomparso pochi mesi dopo, da ascoltare assolutamente (clicca qui)!

We are the internets – pirate bay all’attacco del sistema

PersianBay.jpg
Il clima sul fronte della tutela del diritto d’autore si sta irrigidendo. O meglio – dovrei far riferimento al clima sul fronte di chi incassa il diritto d’autore e combatte il fenomeno del file sharing senza distinguo (il file sharing, la condivisione di file, non necessariamente lede i diritti di qualcuno – ma questa è un’altra storia).
Da noi in Italia la SIAE si è inventata “Legal Bay, un servizio per gli utenti italiani che consentirà di scaricare contenuti digitali audio video in modo sicuro e di grande qualià, offrendo un’alternativa legale ed economicamente sostenibile al downloading e al file sharing illegale” (fonte: SIAE). Una proposta quantomai strana che solleva nuovi interrogativi sul ruolo della Società Italiana degli Autori ed Editori.
Dicevo del clima: negli States la RIAA, associazione dei discografici americani, ha deciso nuovamente di colpire nel mucchio per educarne milioni: una ragazza madre è stata giudicata colpevole di aver condiviso con Kazaa 24 brani e condannata a pagare 80.000 dollari per brano. “E’ come se l’imputata si fosse piazzata all’angolo di una strada per regalare ai passanti 150 cd”, questa la linea degli avvocati della RIAA che dimenticano come non sia mai stato dimostrato un collegamento tra la pirateria ed il calo delle vendite dei supporti regolari (notizia presa da Zeus News). Verosimilmente un nesso c’è, ma ritengo non di queste proporzioni.
Un clima simile si respira in Svezia, dove in aprile è entrata in vigore una normativa antipirateria. Il nome di tale direttiva è IPRED (Intellectual Property Rights Enforcement Directive) e ha fatto crollare in pochi giorni del 30% il traffico Internet dello stato, subito dopo la propria approvazione, a significare come gran parte di coloro che si connettono ad Internet sfruttino il peer-to-peer (notizia presa da qui).
Di contro Pirate Bay, il sito svedese famoso per la messa a disposizione dei file “.torrent” (non sai cosa sono? Clicca qui) ha dichiarato guerra al sistema. Già il giorno successivo alla condanna di primo grado che prevede la reclusione e pagamento di danni a sette cifre, la baia dei pirati sul proprio sito dichiarava “we are the internets”, come dire, internet è il nostro territorio. Uno slogan che dall’elezione nell’europarlamento del partito dei pirati svedese è anche un manifesto politico. Pirate Bay per la libertà incondizionata in internet; Pirate Bay che supporta la protesta in Iran, creando e mettendo a disposizione The Persian Bay, una piattaforma sicura per i gruppi di opposizione iraniani. Una delle ultime mosse di Pirate Bay è il lancio di una versione beta di un servizio per anonimizzare il Peer-To-Peer, denominato IPREDATOR. 180.000 internauti si sono candidati per testare IPREDATOR, solo 3000 lo stanno utilizzando. Se passerà il test, IPREDATOR avrà un costo mensile di 5 Euro (Fonte Sueddeutsche Zeitung) e potrà costituire una vera fonte di finanziamento per Pirate Bay, che al momento si finanzia con donazioni e merchandising, e farne una potenza. Anche se appare scontato che il governo svedese non starà a guardare – staremo a vedere…
Difficile determinare chi abbia torto e chi ragione (troppo semplice mettere i discografici e in Italia la SIAE dalla parte dei buoni e tutti gli altri dalla parte dei cattivi), anche perché alla fine stiamo parlando di accesso alla cultura. (to be continued)