Un nuovo inizio: “Bolzano, racconti dalla città” – su Radio Dolomiti

La vita ogni tanto ti impone delle pause di riflessione, momenti in cui ti fermi, cerchi di tirare le somme e provi ad ascoltarti per capire cosa vuoi fare…
A marzo 2020, quando il mondo si è fermato, come tanti colleghi ho anch’io smesso di fare radio in diretta. Ho trasmesso da casa e bene o male ho portato a termine la stagione de La Musica Dentro, la trasmissione in cui dal 2015 mi piaceva far parlare i miei ospiti della musica che li muove(va), quella dentro, da fruitori, prima ancora che da musicisti.
A ottobre 2020, alla ripresa dalla stagione radiofonica non me la ero sentita di riprendere con le dirette, decidendo di prendermi un anno di pausa.
E’ stato un anno in cui ha cominciato a farsi strada in me l’idea di una nuova trasmissione. L’assenza della radio dal vivo causa pandemia, mi aveva fatto considerare l’idea di riprendere a fare podcast (tipo questo). Avevo una idea di massima, che era quella di raccontare la mia città, ispirato dalle interessantissime interviste che avevo cominciato a fare per raccontare le storie del centro storico su Qui Bolzano, ma mancava una idea concreta, un format.
Poi, un anno fa, una forte delusione mi ha portato a prendere le distanze dall’attuale gruppo di gestione di Radio Tandem. Una scelta dolorosa, considerato che la Radio, si, con la R maiuscola, dal 1986 è (era) parte della mia vita.

È passato quasi un altro anno. Un anno che ha portato la mia pausa di riflessione radiofonica a due – e la mia voce interiore a ricordarmi che ho bisogno di tornare a fare radio!

Poi succede che a forza di desiderare un’opportunità, questa arrivi. Arriva da una radio storica di Trento, che ringrazio, Radio Dolomiti, attiva dal 1975, una radio commerciale, che per me rappresenta una novità, a partire dal ritmo di trasmissione, molto più incalzante.

Dalla mia prova di trasmissione, la cosiddetta zero, sono passate diverse settimane, un tempo necessario ad affinare la tecnica e mettere a punto il contenitore. Che sarà piccolo: una rubrica di 3, massimo 4 minuti in cui concentrare una storia, cercando di dare voce alle persone, con le quali le interviste peraltro potrebbero durare ore. Una delle sfide più grandi sarà ricreare l’effetto radio dal vivo, che è una cosa sulla quale dovrò ancora lavorare. Intanto devo prendere le misure del nuovo formato, una cosa che succederà per gradi, un passo alla volta…


In montagna con la bicicletta

Florian Puff, 61 anni, gestisce un bar in via Laurino. Durante la prima fase della pandemia i media gli dedicarono attenzione in quanto era stato tra i primi esercenti del capoluogo ad adottare misure di protezione che gli consentissero di tenere aperta la sua attività. Quello che molti non sanno è che Florian Puff nel privato è uno sportivo appassionato di montagna che pratica l’arrampicata su ghiaccio, lo scialpinismo e mountainbike “estremo”.
A fine marzo ha destato attenzione un suo video, postato sul suo profilo Facebook, dal titolo “Dolomiten Bikepacking”, un circuito di 4 giorni (e tre notti) affrontato in mountainbike: 150 chilometri di lunghezza per un totale di 7000 metri di dislivello, da solo nella natura, con tenda e sacco a pelo, utilizzando il più possibile percorsi off-road. La magia del video sta nell’esperienza della solitudine nei luoghi simbolo delle Dolomiti, oggi deserti a causa del lockdown (L’ Alpe di Siusi e le piste da sci sulle pendici del gruppo del Sella).

QUIBolzano: Cosa La spinge a cercare rifugio nella natura?
Florian Puff: Con la mia attività, la mia giornata lavorativa è di 14 ore. Ma con il lockdown di colpo mi sono trovato ad avere tantissimo tempo libero. Il periodo più duro è stato sicuramente il primo lockdown, quello in cui ci siamo tutti trovati relegati in casa senza la possibilità di abbandonare il comune di residenza. Se vivi a Bolzano e sei appassionato di scialpinismo, arrampicata su ghiaccio e mountainbike in altura, non è il massimo…

Quando con  l’inverno ci siamo ritrovati nuovamente in lockdown, la novità era data dalle nuove norme che consentivano a chi girava in bicicletta, di uscire dal territorio comunale. E’ stato così che ho cominciato ad andare a fare scialpinismo con la bici. Ho trovato il modo di fissare gli sci sulla mountainbike e sono partito alla volta di Obereggen. Lì ho messo gli sci, ho fatto la mia escursione e alla fine sono rientrato a Bolzano con la bici.
Senza restrizioni, sarei partito in auto, avrei fatto la mia escursione con gli sci e la sera sarei tornato a casa soddisfatto. Se decidi di andare in bici, ti devi imporre di partire la mattina alle quattro e devi mettere a bilancio almeno due ore per salire. Ho fatto 10-12 escursioni così, con la mountainbike e poi gli sci, ma è una esperienza massacrante.

Quindi ho cominciato a ragionare su delle alternative, finché sono giunto alla conclusione che avrei lasciato gli sci a casa e che sarei partito in mountainbike. Ho studiato percorsi alternativi alla strada asfaltata, ma comunque percorribili nonostante la neve. E ho cominciato ad esplorare nuovi sentieri, una esperienza nuova, non ultimo per via della neve e del ghiaccio…

QUIBolzano: Non ha mai avuto il timore di scivolare, di “impiantarsi” durante una discesa e di cadere in malo modo?

Florian Puff: Ho fatto esperienza di tutto (ride, ndr). Comunque impari presto a capire che ci sono situazioni in cui puoi solo smontare dalla bicicletta e spingerla.

QUIBolzano: Ha una mountainbike particolare? Per queste escursioni ha montato dei rapporti particolarmente leggeri o usa gomme chiodate?

Florian Puff: Gomme chiodate mai, quelle servono se vai esclusivamente su ghiaccio. La bici la ho adattata da tempo alle mie esigenze, è già concepita per performance estreme, i rapporti sono leggeri, ma a me interessa anche la velocità. Certo, sento che con l’età comincio anche a perdere la potenza di un tempo. Cerco di pianificare le escursioni in modo da essere sulla neve al mattino, fino a mezzogiorno. Il pomeriggio percorro possibilmente tratti con fondo asciutto

QUIBolzano: Immagino che conti anche il fattore peso

Florian Puff: I materiali sono importanti, la bici pesa 14 chili e per quanto riguarda il bagaglio, cerco di economizzare quanto più possibile. Il mio bagaglio è montato su manubrio, sul portapacchi agganciato alla sella, più uno zainetto. In tutto 10 chili circa. Utilizzo materiale tecnico, caldo e resistente ma leggero: dall’abbigliamento, alla tenda e al sacco a pelo. Poi devo portarmi dietro un fornelletto, in queste escursioni è sempre importante assumere liquidi caldi, l’acqua la ricavo sciogliendo la neve

Poi devi pensare che ogni tanto devi scendere dalla bici, altrimenti rischi di stare in sella per 15 ore al giorno. Io mi porto dietro una macchina fotografica. Un tempo ero un appassionato fotografo, ma ultimamente, specie per questi giri mi porto dietro solo una fotocamera compatta che stia in tasca. Ne uso una buona, ma non mi piacciono le action cam, perché tendono a distorcere molto. Per il video che vedi sul mio profilo, ho fatto diverse riprese, ma senza guardare il singolo risultato. Deve andar bene, non è che posso compromettere la batteria. Una di riserva la porto dietro, ma non c’è possibilità di ricaricarla, quindi bisogna risparmiare dove si può, si lascia a casa tutto il superfluo.

QUIBolzano: Come le è venuta l’idea di una quattro giorni in solitaria, solo Lei e la natura?

Florian Puff: Due o forse tre anni fa mi sono imbattuto in una parola nuova: Backbiking, che interpreta la filosofia della tenda e del sacco a pelo abbinata alla bicicletta. Il termine era associato ad una manifestazione che si svolge ogni anno in Toscana, il Tuscany Trail al quale ho partecipato.

Riportiamo dal loro sito internet (www.tuscanytrail.it): “Un’avventura di 500 km in sella alla tua bicicletta, da Nord a Sud, in “autosufficienza” come veri avventurieri del ventunesimo secolo. Un itinerario caricato sul GPS e via ognuno con il proprio passo, senza tempo limite, perché l’avventura è un diritto che deve essere alla portata di tutti. Ad oggi è l’evento al mondo che detiene il maggior numero di partecipanti presenti: 1230. Un’evasione dalla routine quotidiana, uscirai dalla tua “comfort zone” e ti ritroverai a vivere intere giornate con i ritmi dettati solamente dall’alba e dal tramonto. I più avventurosi tra di voi sicuramente non perderanno l’occasione per dormire sotto il cielo stellato con la tenda o solamente il sacco a pelo.”

Quando ha fatto partire la tua esperienza di Backbiking nelle Dolomiti?

Dal 23 al 27 marzo ho fatto il mio trail, tutto in solitaria.

Martedì 23 marzo: Bolzano – Tires – San Cipriano – Lavina Bianca, Schönblick (Aica) – Umes- Laghetto di Fiè – Alpe di Siusi con sosta per la notte a Spitzbühel

Mercoledì 24 marzo: Spitzbühel – Rifugio Molignon (Mahlknechthütte) – Tirler – Selva Gardena – Passo Gardena (sosta per la notte)

Giovedì 25 marzo: da Passo Gardena lungo le piste da sci fino a Corvara – San Martino in Badia – Antermoia – Passo delle Erbe –  San Pietro (Val di Funes) – Chiusa – Villandro – Alpe di Villandro

Venerdì 26 marzo: Alpe di Villandro – Sella gasteiger Sattel – Corno del Renon – Pemmern – Soprabolzano – Bolzano

QUIBolzano: La notte dormiva in tenda, in posti con una vista meravigliosa. Ha mai avuto paura?

Florian Puff: La notte senti tantissimi rumori. Un tempo non ci pensavo, però in linea teorica so che c’è la possibilità di incontrare qualche animale, penso all’orso o ai lupi, anche se la possibilità è remota. Statisticamente in Alto Adige vivono più cervi che lupi, eppure non ne incontri quasi mai. Io per ogni evenienza ho sempre a portata di mano uno spray al peperoncino, nella speranza di non doverlo mai usare

Till Antoinio Mola

Articolo pubblicato sul numero 07/2021 di QuiBolzano. Articolo disponibile anche online QUI.

(Centro – Piani – Rencio) Centro storico: un unico grande cantiere

Da febbraio il centro storico è interessato da cantieri stradali di rifacimento della pavimentazione in cubetti in porfido. Il disagio maggiore lo registra chi abita vicino a via Talvera, prima per un semaforo che imponeva il traffico alternato nel tratto a doppio senso di circolazione, e poi per la perdita temporanea dei preziosissimi posti auto riservati ai residenti.

Gli altri due cantieri degli ultimi due mesi hanno riguardato ed in parte ancora riguardano la zona pedonale: via Grappoli e via Leonardo Da Vinci, dove soprattutto quest’ultima è quella che dai lavori subirà una evidente trasformazione, considerato che siamo da sempre abituati a vedervi parcheggiate moltissime biciclette. Abbiamo contattato uno dei responsabili del cantiere, il geom. Alberto Frascati, che ci informa che uno degli obiettivi dei lavori è quello di uniformare il tratto pedonale della via alle altre vie, tipo via Goethe e via della Mostra, in cui in passato era stato tolto lo scalino del marciapiede, portando strada e marciapiede allo stesso livello. Ma per via Leonardo da Vinci, l’estetica non è la motivazione principale per l’avvio dei lavori, il problema grosso è dato dallo smaltimento delle acque piovane. Negli ultimi tempi abbiamo visto come le piogge intense siano diventate sempre più frequenti, l’acqua piovana si concentra in pochi eventi importanti durante l’anno, e ciò impone la predisposizione di adeguate vie per il deflusso delle acque prevedendo per esempio anche tubi interrati di maggiori dimensioni. Tutto questo anche per scongiurare quanto successo la scorsa estate in Corso Libertà: una parte di portico interamente sott’acqua, nuova ciclabile impraticabile, con acqua che fuoriusciva dai tombini, incapaci di smaltire la pioggia.

Però in città c’è chi mormora che i lavori in via Leonardo da Vinci vengano fatti soprattutto per liberarla dal parcheggio selvaggio delle biciclette. Tra Università, negozi ed uffici, sono molti i bolzanini che scelgono via Leonardo Da Vinci – lato portico – per lasciarvi le proprie biciclette, e non è difficile comprendere che c’é chi queta cosa non la veda di buon occhio. E quindi la domanda viene quasi spontanea: che fine faranno i posteggi per le bici? Capiamo presto quanto questo quesito sia spinoso e quanto sia difficile trovare qualcuno disposto a prendere posizione in merito, tenuto conto che la scelta possa essere impopolare. Per questo motivo abbiamo contattato l’Assessore alla Mobilità del Comune, l’arch. Stefano Fattor: “Via Leonardo Da Vinci è un cantiere dei Lavori Pubblici, lo sta seguendo il vicesindaco Walcher. Io posso anticipare che nelle previsioni spariscono una serie di rastrelliere per biciclette, in particolare quelle davanti al portico. Ci sarà sicuramente un periodo di disagio perché spariscono parecchi posti biciclette. Tuttavia posso dirle che l’Ing. Moroder, direttore dell’ufficio mobilità, ed io stiamo per presentate al sindaco e al vicesindaco la nostra proposta di soluzione del problema, molto innovativa, molto visionaria per Bolzano. Per correttezza istituzionale non posso anticipare nulla (il giornale ha chiuso prima dell’incontro con Sindaco e Vicesindaco, ndr), posso però dirLe che rispetto al numero di bici che ci sono adesso, puntiamo ad avere almeno 150 – forse 200 posti bici in più. Con questa operazione dovrebbero anche scomparire definitivamente tutte le biciclette che vengono regolarmente legate ai ciliegi della Piazza dell’Università.” Una anticipazione che incuriosisce, ma noi non possiamo che prendere atto di questa volontà di trovare una soluzione all’annoso problema del posteggio delle biciclette soprattutto a ridosso della zona pedonale e in zona stazione. Vi terremo aggiornati da queste pagine.

Till Antonio Mola

Articolo pubblicato sul numero 06/2021 di QuiBolzano

(Centro Piani Rencio) Una nuova circoscrizione già al lavoro

A leggerne i nomi della presidente e del vicepresidente, il Consiglio di Quartiere Centro-Piani-Rencio appare da subito molto particolare: la Presidente è Sylvia Hofer, una donna fortemente espressione del suo partito, la SVP, 15 anni di presenza in consiglio comunale, è già stata Presidente della Commissione consiliare alla Cultura, per l’ultima tornata elettorale si è candidata solo per la circoscrizione del centro ed ha ricevuto ben 600 voti di preferenza; il vicepresidente invece è Salvatore Falcomatà, con alle spalle una lunga storia di militanza politica di sinistra iniziata ancora negli anni ’70, con una esperienza di decenni nel sindacato e nel volontariato. Una coppia decisamente molto particolare

Chi è Salvatore Falcomatà e come è finito a fare il Vicepresidente di circoscrizione?

Salvatore Falcomatà: “Politicamente dal 1974 al 1980 ho militato nel PdUP, il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo, poi sono stato nel PCI e poi Rifondazione Comunista con cui nel 2005 sono stato presidente della Circoscrizione di Oltrisarco. Ma vanto anche una esperienza pluridecennale nel volontariato laico. Per le ultime elezioni è stato Caramaschi a chiedermi di candidarmi nei quartieri per la sua lista civica. Tra di noi c’è un rapporto di stima reciproca”

“Sono stato eletto ad Oltrisarco e ai Piani, ma su invito del sindaco ho scelto di andare ai Piani, sia per coprire una assenza (se non fossi andato, la lista avrebbe perso un seggio), sia per la mia esperienza, utile per una circoscrizione dalle difficili e complicate tematiche…”

QUI: Come valuta la Sua esperienza fino a questo momento e come si trova a lavorare con la Presidente del Consiglio di Quartiere?

Salvatore Falcomatà: “Pur essendo un organo per molte questioni solo consultivo, io ritengo che i consigli di circoscrizione siano il vero collante tra cittadinanza e Comune. A me questa possibilità di dialogo con la cittadinanza piace molto. Per quanto riguarda il rapporto con Sylvia Hofer, devo dire che ci troviamo bene a lavorare insieme, certo le discussioni sono accese, ma abbiamo entrambi un approccio molto pratico alle questioni”

Aspetto confermato anche d Sylvia Hofer: “Non conoscevo Salvatore. Ci capiamo bene, entrambi siamo molto pratici, ritengo che siamo molto compatibili.”

Che continua:
“Il consiglio è molto variegato, degli 11 consiglieri, 8 sono di liste di maggioranza anche se le dinamiche in consiglio di circoscrizione sono diverse rispetto al consiglio comunale. Affrontiamo più situazioni pratiche e ci auspichiamo di trovare soluzioni ampiamente condivise”

QUI: Come valuta fino a qui la sua esperienza da Presidente?

Sylvia Hofer: “Una delle prime misure che da me adottate, oltre a fissare da subito tutte le riunioni fino a giugno, è stato il passaggio dalle riunioni in presenza a quelle online. La mia circoscrizione in questo senso ha fatto da apripista.

QUI: quali son i prossimi temi all’ordine del giorno?

Sylvia Hofer: “Nelle future riunioni affronteremo questioni spinose come la gestione dei rifiuti – un tema molto dibattuto è il pessimo stato in cui versano molte isole ecologiche. Poi c’è il tema della mobilità, che comprende la variante sotto Monte Tondo, ma anche Rencio, dove l’abitato sorge praticamente lungo la strada, e quindi il traffico lì andrebbe alleggerito. Un altro tema caldo riguarda l’ARBO, il piano di recupero dell’areale ferroviario. Anticipo qui che ci batteremo anche per la riapertura dell’ufficio postale di via Brennero, chiuso in occasione del primo lockdown e non più riaperto

Till Antonio Mola

Articolo pubblicato sul numero 03/2021 di QuiBolzano

Il patto per un futuro locale sostenibile

Il Patto per il futuro dell’Alto Adige è una iniziativa di cittadini che propone un processo partecipato per scrivere insieme alla politica le regole che avranno un impatto sullo sviluppo del nostro territorio. Ne abbiamo parlato con Emilio Vettori, consulente di sostenibilità del gruppo promotore di “Patto per il Futuro” dell’Alto Adige.

Per meglio inquadrare la questione è opportuno fare un passo indietro: nel 2011 la Provincia di Bolzano ha stilato il Piano clima energia 2050, una strategia che declina a livello locale gli accordi sul clima stipulati a livello nazionale e globale. Il sito della Provincia si era espresso così: “Gli obiettivi definiti nel 2010 erano chiari: migliorare l’efficienza energetica, ridurre i consumi pro capite e le emissioni di CO2, sostituire le fonti di energia fossile con quelle rinnovabili. Il Piano indica la strada che l’Alto Adige vuole seguire per diventare un KlimaLand a livello internazionale e adottare un approccio sostenibile alla questione energetica.”

Da qualche mese in internet si sta facendo conoscere il gruppo “Zukunftspakt – Patto per il futuro dell’Alto Adige” una iniziativa di cittadini nata nel 2020, durante i primi mesi della pandemia con in mente una visione: che la politica affronti in modo condiviso con esperti e cittadini le tematiche dello sviluppo del nostro territorio, per raggiungere gli obiettivi prefissati con un occhio di riguardo alla sostenibilità, alla tutela dell’ambiente in cui viviamo e alla qualità della vita delle persone.

Ma l’iniziativa Patto per il futuro come si relaziona in merito al Piano clima energia? Per il gruppo promotore, composto da tredici altoatesini di tutti i gruppi linguistici, ha risposto il consulente di sostenibilità Emilio Vettori

 “Noi pensiamo che l’aggiornamento, la realizzazione e il monitoraggio di questo strumento, e più in generale di un piano per lo sviluppo sostenibile, non possa essere fatto solo dalla politica, ma che la politica possa e debba essere aiutata da un organo istituzionalizzato, composto da cittadini ed esperti, che accompagni questo processo. Il fatto è che gli obiettivi formulati nel 2011 erano molto ambiziosi, ma ad intervalli di tempo regolari, questi obiettivi vanno attualizzati ed aggiornati in base alle mutate condizioni e alle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche. Se dieci anni fa ho definito un percorso che si basa su determinate soluzioni e dieci anni dopo si aprono nuove possibilità, allora è necessario rivedere la strategia e gli obiettivi“.

L’obiettivo del Zukunftspakt è quello di essere un interlocutore della politica?

“Assolutamente sì. Secondo noi è possibile per Alto Adige raggiungere la neutralità climatica entro il 2035. Sosteniamo l’idea che sia importante un approccio partecipato nello scrivere le regole che riguarderanno lo sviluppo del nostro territorio per i prossimi 10-15 anni e per questo abbiamo fatto un appello chiaro alla politica. Chiediamo che il prossimo piano di sviluppo sia condiviso e fatto su basi scientifiche, che tenga conto di indicatori concreti, non solo di valutazioni contingenti. In questi mesi abbiamo sviluppato un modello organizzativo che può consentire di realizzare questo percorso partecipativo e siamo pronti a presentarlo alla politica.”

Sul sito https://zukunftspakt-pattofuturo.org/ è possibile sottoscrivere il manifesto .

Till Antonio Mola

Articolo pubblicato sul numero 02/2021 di QuiBolzano

ILLIBRO, il meglio di 20 anni di recensioni

Il popolare sito internet Debaser.it raccoglie da più di 20 anni recensioni “scritte da chi vuole” e ha pubblicato ILLIBRO, una raccolta del meglio delle recensioni dei primi 20 anni di vita del sito (280 pagine, Edizioni Riff).

Debaser è un progetto di due bolzanini, Andrea Gasperi e Stefano Bonzi, classe 1968 il primo, 1967 il secondo: ad oggi io sito contiene più di 50.000 recensioni di musica, teatro, cinema e spettacolo. Lo stile del sito è molto ironico – già nella homepage si definisce “il sito più fiko dell’internet” – ma visitandolo ben presto se ne carpisce la ricchezza di contenuti…

Andrea Gasperi: “Intorno a Debaser cominciò a raccogliersi una comunità di appassionati di musica da tutta la penisola ed il nostro sito cominciò a raccogliere consensi e in un certo senso a diventare una comunità. Oggi contiamo oltre 25.000 utenti registrati da tutta Italia. Debaser conta mezzo milione di pagine visitate al mese… non sono poca cosa”

QuiBolzano: Possiamo considerate Debaser.it un social media?

“I social nascono come ambienti molto positivi, tutto sembra bello roseo e fantastico, uno strumento dalle mille possibilità. Solo che spesso poi scopri che alla fine sei tu lo sfruttato, sei tu che diventi il prodotto e vieni venduto a quelli che hanno bisogno della tua attenzione per sottoporti le loro offerte. Debaser in questi primi 20 anni ha avuto la possibilità di reagire, con interventi tipo la maggiore moderazione dei contenuti o inserendo strumenti come i range delle recensioni, che mette l’utente nella condizione di capire quali siano i contenuti di maggiore valore.”

Da dove nasce l’esigenza di pubblicare una raccolta?

“C’è la voglia di fermarsi e di fare il punto della situazione, ma c’è anche la vanità di esibire quello che abbiamo fatto nei nostri primi 20 anni e quindi di prendere il meglio di quello che c’è nel sito e di metterlo su carta, in un formato diverso per vedere l’effetto che fa. Il volume è disponibile nelle librerie di Bolzano, ma può anche essere ordinato dal sito delle edizioni Riff (riffrecords.it).

Come è nata questa collaborazione?

“Ho conosciuto Paolo Izzo a Radio Tandem, nel corso della trasmissione “La Musica DeDentro che come Debaser avevamo a  Radio Tandem e gli ho chiesto se era interessato a pubblicare il libro perché mi sembrava un’ottima idea creare delle sinergie tra realtà locali. A Paolo il progetto è piaciuto e così eccoci qui.”

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Articolo pubblicato sul numero 01/2021 di QuiBolzano, di QuiMerano e di QuiBassaAtesina.

La tomba a Bolzano del grande scacchista

Tra i nomi che danno lustro alla città di Bolzano, da qualche anno c’è anche quello di Daniel Harrwitz. Nato nella prussiana Breslau, l’odierna Wroclaw in Polonia, Harrwitz è stato uno dei più famosi scacchisti dell’ottocento.

Tra il 1848 e il 1862, Harrwitz è al culmine della sua carriera e fa degli scacchi la sua via di sostentamento, chiedendo somme in denaro per giocare: sfidarlo, infatti, era motivo di orgoglio e stuzzicava la voglia degli appassionati. In molte sfide concedeva dei vantaggi agli avversari o giocava alla cieca, ovvero senza vedere la scacchiera e i pezzi, e tutto questo simultaneamente contro più giocatori. In questo periodo vive tra Berlino, Londra e Parigi, dal 1853 al 1854 pubblica un giornale sugli scacchi, la “British Chess Review” e nel 1862 scrive un libro dal titolo “Lehrbuch des Schachspiels”.

E’ il 2009 quando lo storico degli scacchi Luca D’Ambrosio scopre nel cimitero ebraico di Bolzano la tomba del maestro Daniel Harrwitz, morto a Bolzano nel 1884. Scoprendo la tomba, il suo ultimo domicilio in città (”Zollstange 173”, individuabile nell’ex Gasthof Rosengarten di via De Lai 2) e altre importanti tracce, D’Ambrosio ha ridefinito la biografia del grande scacchista, suscitando grande interesse a riguardo in tutto il mondo scacchistico.

Ma come si incappa in una storia così?

D’Ambrosio: “Gioco nel circolo Arciscacchi ormai da quasi 40 anni, ma da circa 15 ho cominciato ad appassionarmi agli aspetti storici della disciplina. Per più di otto anni mi sono concentrato a ricostruire la storia dei tornei internazionali di Merano svoltisi negli anni ’20 del secolo scorso, sfociata nel libro “Die internationalen Schachturniere zu Meran 1924 und 1926” (500 pagine, Edizioni Arci Scacchi Bolzano, 2014)

Nel corso di quegli anni un amico del circolo mi chiese se sapessi che a Bolzano era nato un importante scacchista, tale Daniel Harrwitz. Proprio non mi risultava, ma, incuriosito sono andato a cercare questo dato ed ho scoperto che su un libro c’era una informazione errata, mentre su altri compariva l’informazione giusta: Harrwitz non è nato, ma è morto (!) a Bolzano nel 1884. Per anni accantonai il pensiero, ma successivamente, influenzato dal filone di studi fatti sugli scacchisti del XIX secolo, mi sono messo a ricercare.”

“Mi ci sono voluti mesi per trovare una traccia: Harrwitz era morto di una malattia polmonare e questo mi aveva un po’ depistato, perché lo cercavo a Gries in luoghi di cura per malati di tubercolosi. Ma non ho trovato nulla. Grazie a Pater Placidus, l’archivista dell’Abbazia di Muri Gries sono approdato all’archivio parrocchiale di Maria Himmelfahrt a Bolzano, praticamente l’archivio del Duomo, dove nel libro dei morti ho trovato un riferimento che è stato molto sorprendente, in quanto la data di morte non combacia con quella che compare in tutti i libri, ma è di una settimana prima. Ma soprattutto l’anno di nascita differisce di due anni… a questo punto non restava che cercare la tomba. Finalmente nel 2009 ho trovato la colonna che reca inciso il nome di Daniel Harrwitz e soprattutto le date di nascita e morte, completamente diverse da quelle indicate nei libri, ma ora assolutamente certe. Quella di morte ha trovato ulteriore conferma da un giornale dell’epoca di Bolzano e invece la data di nascita è coincidente con quella indicata nel libro dei morti della parrocchia.”

Ma che tipo era Daniel Harrwitz?

“I maligni dicono che avesse un carattere ruvido e decisamente poco signorile nella sconfitta, ma bisogna ricordarsi che lui giocava per il pane ed è ovvio che vedesse nella scacchiera più di un semplice gioco, essendo uno dei pochi professionisti del suo tempo. Pensi che questo tratto caratteriale è stato sfruttato nel 2012 dallo scrittore goriziano Paolo Maurensig, famoso per il bestseller “La variante di Lüneburg”, che nel 2012 si è fatto ispirare dalla scoperta di D’Ambrosio per il suo romanzo breve “L’ultima traversa” in cui Harrwitz è uno dei protagonisti.

(Till Antonio Mola)

Articolo pubblicato sul numero 01/2021 di QuiBolzano

L’inferno, a diecimila chilometri da casa

Il giornalista Luca Fregona con questo libro narra tre storie, apparentemente isolate, di ragazzi altoatesini ventenni che hanno combattuto una guerra in Indocina. Non si conoscevano tra loro, eppure si trovavano a combattere le stesse battaglie, più per disperazione che per scelta, con l’unico intento di sopravvivere.
I racconti sono scritti in prima persona ed il ritmo della lettura è incalzante ma fluido. Si tratta di un libro da leggere tutto di un fiato. Al giornalista va dato il merito di aver prima intuito e poi trovato il riscontro che non si trattava di storie isolate, che il fenomeno del reclutamento coatto nella legione straniera fosse più diffuso.

Luca Fregona: E’ una esperienza che ha toccato circa 7000 ragazzi italiani che oggi nessuno conosce più. Invece negli anni cinquanta la questione è stata molto dibattuta sulla stampa, perché era un fenomeno molto conosciuto e denunciato, di questi arruolamenti di centinaia e centinaia di ragazzi italiani che si trovavano su suolo francese più o meno clandestinamente, e poi, una volta scoperti, convinti, con la minaccia della galera o del rimpatrio, a firmare l’ingaggio nella legione straniera. Comunque la legione pagava anche bene e molti firmavano senza nemmeno sapere dove sarebbero finiti.

QUI: cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

LF: Da sempre mi piace sentire dai testimoni di un periodo cosa hanno vissuto, le emozioni che hanno provato. Spesso sono storie che hanno una trama narrativa molto forte. In fondo sono racconti. Il giornalismo è anche questo, ogni giorno racconta quello che accade intorno, nella tua città, dove vivi, ecc…

QUI :  Nel libro racconti le vicende di questi ragazzi ventenni, storie di disperazione e di sopravvivenza, in cui è difficile separare i concetti di bene e di male

LF: Io mi sono molto immedesimato in questi tre profili, in queste tre storie. Due protagonisti li ho conosciuti di persona, uomini che sono sopravvissuti a quella guerra e poi però nel frattempo ci hanno lasciato. Sono persone con cui ho parlato molte ore e quindi sono riuscito a sintonizzarmi con loro e a capire anche i drammi che hanno vissuto. Il terzo protagonista è morto in Indocina. Tuttavia per lui vale lo stesso discorso, perché la storia me l’ha raccontata suo fratello, la sua vicenda è stata un dramma famigliare.
Quando parli per tante ore e ascolti le persone, riesci a fare tuo il loro punto di vista. Cerchi di capire la vita come poteva vederla un ragazzo di venti anni cresciuto sotto una dittatura e passato alla Seconda guerra mondiale. Quindi non c’è tanto da giudicare, c’è solamente da raccontare…

QUI: Hai narrato in prima persona. Le loro angosce sono quelle del lettore. Hai questa capacità di rendere fluido un discorso che non necessariamente è nato fluido…

LF: Quando capisci quello che ti vuole dire l’interlocutore, capisci quello che ha vissuto o te lo fa capire… io mi sono immerso così tanto ed identificato con queste persone che ogni volta – ho scritto i tre capitoli separatamente – era come se avessi la persona davanti, è come se in qualche modo io parlassi al posto suo. Sapevo che cosa voleva dire e credo di aver fatto un lavoro abbastanza onesto da questo punto di vista e di aver rispettato anche il modo di parlare ed il modo di porsi delle singole persone. Infatti i tre protagonisti parlano anche in modo diverso – poi chiaramente io ho il mio stile…

(Till Antonio Mola)

Articolo pubblicato sul numero 24/2020 di QuiBolzano

Pronto a rinascere il Parco Cappuccini

Mentre gran parte del centro storico di Bolzano è ostaggio dei lavori per la costruzione delle infrastrutture per il Waltherpark, sembrerebbe in procinto di sbloccarsi la situazione relativa alla riqualificazione del Parco dei Cappuccini.

Solo qualche settimana fa, su queste pagine, constatavamo come nel 2020 il parco abbia cominciato ad ospitare con maggiore frequenza spettacoli e rassegne culturali: dal Cinema sotto alle stelle ai concerti dell’Orchestra Haydn, dalla edizione bolzanina del Trento Film Festival, alle iniziative della Biblioteca provinciale in lingua italiana Claudia Augusta. Una situazione totalmente diversa rispetto a pochi anni prima: i nostri lettori più attenti ricorderanno gli sforzi del comitato di quartiere “Quasicentrum” che ancora nel 2015 definiva le vie intorno al parco “un quartiere di passaggio, tagliato dal traffico, poco valorizzato e abbandonato a sé stesso, al deperimento e degrado, sino a soffrire delle stesse condizioni di una periferia.”

Nelle ultime settimane il dibattito su ciò che sarà il nuovi Parco dei Cappuccini si è fatto più fitto. E’ di pochi giorni fa la notizia che c’è un progetto per il parco che tenta di mettere d’accordo la Provincia (che è il committente) ed il Comune di Bolzano.

Per provare a fare un po’ di chiarezza, abbiamo contattato il progettista, l’architetto bolzanino Kurt Wiedenhofer, e già dopo poche battute abbiamo capito la complessità della gestione del progetto. Dire che coinvolge Provincia e Comune è riduttivo, considerati i numerosi uffici delle due istituzioni coinvolti nel progetto. Non dobbiamo dimenticare inoltre il ruolo delle istituzioni che si affacciano sul parco: il Teatro Comunale con il Teatro Stabile e la sua controparte tedesca, le VBB, Vereingte Bühnen Bozen, ed il Centro culturale Trevi – TreviLab con il Centro Multilingue, il Centro Audiovisivi e la Biblioteca provinciale italiana Claudia Augusta.

La prima cosa che salta all’occhio è che spariranno gran parte degli elementi attuali del parco e che l’organizzazione interna verrà rivista. Nelle intenzioni di Provincia e Comune era centrale l’idea di uno spazio che consentisse l’organizzazione di eventi culturali. Un’altra idea era stata formulata dalle istituzioni teatrali presenti in piazza Verdi, che avevano manifestato l’interesse ad avere un chiosco in prossimità del Teatro. Ed un’altra visione ancora prevedeva un collegamento almeno visivo tra il Centro Trevi – Tevilab ed il Teatro.

Architetto Wiedenhofer: “Il progetto ha cercato di tenere conto di tutte queste esigenze.  Ci saranno due nuovi varchi nel muro perimetrale: uno verso il Teatro, mentre quello attuale di via Cappuccini viene chiuso, ma ce ne sarà uno nuovo all’altezza del Centro Trevi. Non ci sarà un chiosco, ma uno “spazio bistrot” che sorgerà nella parte nordest del parco. Si tratta di una soluzione trovata dal mio collega bergamasco Marco Formenti, che da un paio di anni lavora in provincia di Bolzano. Questa area ospiterà anche uno spazio “palco” per manifestazioni. L’idea è che sia il gestore del bistrot a farsi carico della gestione e del coordinamento del programma delle attività nel parco, oltre che di chiudere i cancelli la sera.”

Dal varco di ingresso di via Cappuccini si accede presto ad una area dove sorgerà un parco giochi, e subito più a sud sorgerà una piccola ludoteca, oltre che una area espositiva temporanea.

Il progetto prevede anche una struttura polifunzionale esterna al parco, tra la fontana e la strada, che verrà adibita a parcheggio biciclette e fermata del bus.

Il progetto, per andare avanti, necessita ancora delle autorizzazioni e della variazione al Piano Urbanistico Comunale. I tempi non sono immediati, ma vedere progressi sulla riqualificazione del parco, non può che far piacere.

(Till Antonio Mola)

Articolo pubblicato sul numero 23/2020 di QuiBolzano

In ricordo di don Carlo Nicoletti

Don Carlo Nicoletti, originario di Novaledo in Trentino, si è spento lo scorso 2 novembre a Bolzano a causa di complicazioni legate al Covid-19. Per decenni il sacerdote è stato l’anima delle Acli e della parrocchia dei Piani. 

A inizio novembre è venuto a mancare, all’età di 89 anni, don Carlo Nicoletti. Il sacerdote è stato a lungo parroco ai Piani e cappellano della Scuola di Polizia di Bolzano.

Pensando a lui, si pensa all’impegno della Chiesa nel sociale e per i lavoratori. Don Carlo dal 1965 è stato attivo nelle ACLI, le Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani. Più in generale don Nicoletti è stato per anni uno dei volti della chiesa che si si spende per i propri fedeli attraverso un occhio attento per le vite individuali, le relazioni, la promozione di uno sguardo attento alla società che è la premessa fondamentale per costruire quel tessuto connettivo presupposto indispensabile per salvaguardia dei diritti, solidarietà e carità.

Per cercare di tracciare un ricordo “recente” di quello che don Carlo è stato, ci siamo rivolti a

don Mario Gretter, un sacerdote noto per essere molto progressista. Don Mario ha vissuto due anni al Cairo per studiare l’Islam, conosce l’arabo ed è una sorta di ponte del mondo cattolico altoatesino verso le altre culture e religioni.

“Sono arrivato a San Giuseppe ai Piani pochi anni dopo che don Carlo ne aveva lasciato la guida per raggiunti limiti d’età. Da giovane parroco sono entrato, non solo nella comunità parrocchiale dei Piani, ma anche nella piccola comunità domestica della canonica, composta da don Carlo, don Giovanni Costanzi, già avviato verso i 90 anni, ma ancora vivace e coltivatore assiduo di relazioni e incontri con le tante persone conosciute, accompagnate e sostenute durante il lungo servizio pastorale in centro, e l’infaticabile Mariya, perpetua e poi badante fedele.

Passati i tempi della cappellania presso la Scuola di Polizia, dell’impegno attivo nelle ACLI, ma soprattutto della parte burocratica dell’attività di parrocchia, don Carlo ha potuto godere, con il suo stile calmo e sorridente, di lunghe letture e approfondimenti, che puntualmente arrivavano sulla tavola, nelle chiacchierate del venerdì a pranzo, tra una portata e mezzo bicchiere di vino rosso.”

“Ho negli occhi, ogni volta che arrivavo per il pranzo del venerdì, un don Carlo che passava dalle letture di approfondimento alla recita del breviario fino alla scrittura della predica, sempre ben preparata, nel suo ufficio in canonica. Equilibri che l’età e le vicende della vita hanno incrinato, a partire dalla morte di don Giovanni nel febbraio del 2015, dopo aver condiviso un’amicizia fraterna per oltre 40 anni. Il dolore e dispiacere della perdita hanno messo in luce delle fragilità che forse prima si potevano solo intravedere, fino ad arrivare alla malattia, che ha portato via tante parti di don Carlo, ma non tutte. Sicuramente la cura e gli stimoli costanti di Mariya, hanno rallentato il rarefarsi di ricordi e capacità di riconoscere e riconoscersi. E qui credo di poter vedere un po’ la cifra di tutto il suo impegno di una vita per gli altri, per i lavoratori alle ACLI, per le reclute della Scuola di Polizia, per le parrocchiane e i parrocchiani. Fino all’ultimo don Carlo ha voluto celebrare la S. Messa e per questo si svegliava più volte nella notte, con il bisogno di andare a celebrare. Non si tratta di un rito, ma di qualcosa di essenziale e vitale, una sorgente per la vita: Gesù si spezza e dona tutto sé stesso e ci invita a fare altrettanto. Con il suo stile pacato e sorridente, don Carlo ha cercato di spezzarsi e di donarsi: questo era il suo impegno per tutti.”

tamArticolo pubblicato sul numero 22/2020 di QuiBolzano.

Lab:bz, mediazione urbana, dal basso

Torniamo a scrivere di lab:bz, laboratorio urbano e una piattaforma di dialogo e di idee. Lab:bz è un gruppo indipendente di cittadini di diverse professioni, pianificatori e liberi professionisti, che si adopera per uno sviluppo urbano sostenibile. Uno dei punti cardine dei suoi ragionamenti è che la pianificazione urbana debba concentrarsi maggiormente sugli spazi pubblici, luoghi d’incontro e di relazione. Lab:bz si adopera per una forte riduzione del traffico motorizzato privato, del rafforzamento del trasporto pubblico di vicinato ampliamento delle zone pedonali in tutti i quartieri riqualificazione del verde alberato esistente e delle aree verdi.

Un esempio pratico di come opera, è dato dal suo ruolo di mediazione tra gli abitanti del quartiere Bozen-Dorf (In Villa) ed il Comune di Bolzano.

Abbiamo contattato Margot Wittig di lab:bz, ed appreso che uno dei principali problemi, soprattutto degli abitanti di via Beato Arrigo e di Via Weggenstein, sia dato dal traffico pendolare, da chi, proveniente in auto da Sarentino e San Genesio adopera Ponte S. Antonio per raggiungere il centro.
Uno degli obiettivi emersi dagli incontri con i cittadini erano la diminuzione del limite di velocità, la conversione di alcune parti della via in strada residenziale e l’installazione di almeno una speedbox.

Altri problemi emersi riguardano i ciclisti indisciplinati (in via Castel Roncolo), il trasporto pubblico (posizioni e arredo delle fermate del bus) e le passeggiate del Talvera (Wassermauerpromenade).

Con queste richieste i rappresentanti di lab:bz il 6 marzo, quindi poco prima del lockdown, hanno incontrato in municipio Luis Walcher. Un incontro franco in cui il vicesindaco, pur non potendo promettere una attuazione immediadiata dei suggerimenti avanzati, aveva annunciato di voler affrontare nel breve termine i punti più importanti e più facilmente realizzabili.

E’ stata ad esempio indicata una priorità sul fronte traffico: nella zona di fronte all’Ex Oberalp-Eccel è in fase di progettazione un nuovo marciapiede, i pali della luce saranno spostati sul lato della strada, in modo da creare un marciapiede protetto. Si deciderà se almeno una speedbox può essere posizionata nella curva sopra il convitto S.Giorgio. C’è inoltre un’idea di dipingere dei simboli sull’asfalto per segnalare la strada residenziale.
In Via Castel Roncolo si valuterà come garantire una maggiore sicurezza per i pedoni sul marciapiede, probabilmente intervenendo sulla segnaletica orizzontalesul marciapiede/pista ciclabile.

Sul Talvera, il bar S. Antonio, di proprietá della Provincia, potrebbe essere rilevato dal Comune e l’edificio ristrutturato, compreso i servizi igienici, prima di un nuovo contratto di locazione. I residenti chiedono che venga ristrutturata la Casa del giardiniere (sopra Vicolo Sabbia) e assegnata ad una associazione, ma ci sono da affrontare diverse verifiche amministrative, per cui non c’è da aspettarsi una decisione in tempi brevi.

La notizia buona di questi incontri è che grazie all’intermediazione di lab:bz, i cittadini hanno l’opportunità che le proprie istanze possano venire presentate al meglio da parte di professionisti riconosciuti dall’amministrazione comunale.

(Till Antonio Mola)

Articolo pubblicato sul numero 20/2020 di QuiBolzano.

Cappuccini: un parco che vuole “vivere”

Mai come in questo periodo si ha la percezione di quanto Bolzano sia un cantiere. I lavori che porteranno alla realizzazione del Waltherpark, il progetto “Benko” che prevede – citiamo dal sito WaltherPark.com – “la riqualificazione e la a valorizzazione del quartiere fra la stazione ferroviaria, piazza Verdi e piazza Walther”, sono in pieno corso ed in questo momento interessano, oltre alla zona di Parco Stazione, via Alto Adige e Piazza Verdi. Ma le ripercussioni si hanno sull’intera rete viaria nonché sulle vie adiacenti a questo enorme cantiere.

Il pensiero va ad una parte di città, le vie a ridosso del Parco dei Cappuccini, che già prima del progetto “Benko”, lamentava una percezione di abbandono rispetto al centro vero, oltre le vie dove passano gli autobus di linea: “Il quartiere è parte del centro storico della città di Bolzano, ma non vi appartiene (…). E’ un quartiere di passaggio, dove non ci si ferma, tagliato dal traffico, poco valorizzato, un prolungamento atrofico del centro. E come tale è abbandonato a sé stesso, al deperimento e degrado, sino a soffrire delle stesse condizioni di una periferia.”

Il documento era apparso sul blog del comitato civico “Quasicentrum” (http://quasicentrum.blogspot.com), che aveva iniziato a programmare delle attività nel parco, delle feste di quartiere che coinvolgevano anche le attività commerciali e le istituzioni culturali vicine, con il chiaro obiettivo di dimostrare che la zona fosse meritevole di essere valorizzata, senza tuttavia ottenere subito l’effetto sperato. Con il cantiere per il Waltherpark molti problemi si sono accentuati: atti di violenza e vandalismo nella zona tra il retro del Teatro Comunale, piazza Verdi e via Marconi. In un articolo pubblicato sull’Alto Adige il 25 agosto dello scorso anno, il comitato viene così citato: “Non vogliamo perdere la speranza che il Comune si impegni nuovamente per realizzare gli interventi proposti. Basta un minimo di progettualità, di senso civico, di impegno e amore per la città”.
Siamo nel 2020 ed il Parco ha effettivamente cominciato ad ospitare frequenti spettacoli e rassegne: dal Cinema sotto alle stelle, ai concerti dell’Orchestra Haydn, al Trento Film Festival, alle iniziative della Biblioteca Claudia Augusta. Non sappiamo se le iniziative siano una conseguenza diretta degli sforzi del comitato civico. E’ tuttavia sotto gli occhi di tutti che al Parco dei Cappuccini ci sono tante iniziative culturali, che lasciano ben sperare per il futuro.

tam

Articolo pubblicato sul numero 19/2020 di QuiBolzano.

kiasma.it il sito personale di Till Mola