L’inferno, a diecimila chilometri da casa

Il giornalista Luca Fregona con questo libro narra tre storie, apparentemente isolate, di ragazzi altoatesini ventenni che hanno combattuto una guerra in Indocina. Non si conoscevano tra loro, eppure si trovavano a combattere le stesse battaglie, più per disperazione che per scelta, con l’unico intento di sopravvivere.
I racconti sono scritti in prima persona ed il ritmo della lettura è incalzante ma fluido. Si tratta di un libro da leggere tutto di un fiato. Al giornalista va dato il merito di aver prima intuito e poi trovato il riscontro che non si trattava di storie isolate, che il fenomeno del reclutamento coatto nella legione straniera fosse più diffuso.

Luca Fregona: E’ una esperienza che ha toccato circa 7000 ragazzi italiani che oggi nessuno conosce più. Invece negli anni cinquanta la questione è stata molto dibattuta sulla stampa, perché era un fenomeno molto conosciuto e denunciato, di questi arruolamenti di centinaia e centinaia di ragazzi italiani che si trovavano su suolo francese più o meno clandestinamente, e poi, una volta scoperti, convinti, con la minaccia della galera o del rimpatrio, a firmare l’ingaggio nella legione straniera. Comunque la legione pagava anche bene e molti firmavano senza nemmeno sapere dove sarebbero finiti.

QUI: cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

LF: Da sempre mi piace sentire dai testimoni di un periodo cosa hanno vissuto, le emozioni che hanno provato. Spesso sono storie che hanno una trama narrativa molto forte. In fondo sono racconti. Il giornalismo è anche questo, ogni giorno racconta quello che accade intorno, nella tua città, dove vivi, ecc…

QUI :  Nel libro racconti le vicende di questi ragazzi ventenni, storie di disperazione e di sopravvivenza, in cui è difficile separare i concetti di bene e di male

LF: Io mi sono molto immedesimato in questi tre profili, in queste tre storie. Due protagonisti li ho conosciuti di persona, uomini che sono sopravvissuti a quella guerra e poi però nel frattempo ci hanno lasciato. Sono persone con cui ho parlato molte ore e quindi sono riuscito a sintonizzarmi con loro e a capire anche i drammi che hanno vissuto. Il terzo protagonista è morto in Indocina. Tuttavia per lui vale lo stesso discorso, perché la storia me l’ha raccontata suo fratello, la sua vicenda è stata un dramma famigliare.
Quando parli per tante ore e ascolti le persone, riesci a fare tuo il loro punto di vista. Cerchi di capire la vita come poteva vederla un ragazzo di venti anni cresciuto sotto una dittatura e passato alla Seconda guerra mondiale. Quindi non c’è tanto da giudicare, c’è solamente da raccontare…

QUI: Hai narrato in prima persona. Le loro angosce sono quelle del lettore. Hai questa capacità di rendere fluido un discorso che non necessariamente è nato fluido…

LF: Quando capisci quello che ti vuole dire l’interlocutore, capisci quello che ha vissuto o te lo fa capire… io mi sono immerso così tanto ed identificato con queste persone che ogni volta – ho scritto i tre capitoli separatamente – era come se avessi la persona davanti, è come se in qualche modo io parlassi al posto suo. Sapevo che cosa voleva dire e credo di aver fatto un lavoro abbastanza onesto da questo punto di vista e di aver rispettato anche il modo di parlare ed il modo di porsi delle singole persone. Infatti i tre protagonisti parlano anche in modo diverso – poi chiaramente io ho il mio stile…

(Till Antonio Mola)

Articolo pubblicato sul numero 24/2020 di QuiBolzano